La storia di Rita

Gioia e Dolore

Rita B., felice nonna di tre ragazzi – con un quarto in arrivo – nasce a Modena nel 1961 e vive da sempre in un paesino della provincia. Ancora molto giovane, a 16 anni, diventa mamma del primo figlio. È, come si può immaginare, un periodo tutt’altro che facile, però con l’aiuto della madre, tragicamente rimasta vedova da poco, e di suo marito, riesce comunque a completare gli studi. A 20 anni, inizia a lavorare in piccole aziende della zona. A 24, partorisce il secondo figlio, che va a coronare la felicità familiare. Sono anni intensi e bellissimi, fino al 2009, quando iniziano i primi segni di sofferenza e i primi ricoveri al policlinico di Modena.

Dopo vari consulti e un intervento di colecisti, Rita viene dimessa, ma sente che qualcosa non va e si reca da uno specialista di Bologna, per un altro parere, Le viene prescritta una cura inizialmente efficace che, per almeno sei mesi, la fa stare bene.

Purtroppo la situazione precipita di nuovo e viene ricoverata al Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Dopo numerose analisi, viene sottoposta all’asportazione del coledoco, subendo un’anastomosi bilio-digestiva, ossia una serie di interventi chirurgici che hanno lo scopo di costruire un nuovo passaggio per portare la bile dal fegato all’intestino. E’ in quei giorni, che le viene confermata la sofferenza del fegato, che presentava segni di cirrosi. Gli esami successivi confermano la gravità della situazione ed evidenziano l’opportunità di inserimento nella lista di attesa per trapianto di fegato.

Ero molto stanca e provata dalla malattia

racconta

e non nascondo che questa notizia, da una parte, mi rendeva felice di avere un’opportunità di cura, ma, dall’altra, mi riempiva di dubbi e di paure, non sapendo cosa sarebbe successo. La mia famiglia mi ha affiancato in ogni momento, così come il medico di base, che mi è stato molto vicino. Ho sempre trovato un grandissimo aiuto anche nel personale infermieristico del day hospital, dove mi recavo e mi reco tuttora, per i controlli periodici. Il Centro Trapianti di Bologna mi ha sostenuto in tutto il mio percorso e nei tanti ricoveri che si sono susseguiti nell’attesa del trapianto, rispondendo a tutti i miei quesiti. Mi ricordo in particolare, una “guida al trapianto” elaborata dal Centro Trapianti e pubblicata dall’Associazione Nazionale Trapiantati di Fegato G. Gozzetti, che mi è stata molto utile. Nonostante i ripetuti ricoveri per colangite ricorrente, ormai giunta in fase avanzata, ho sempre avuto la speranza che un organo sarebbe arrivato anche per me, senza mai temere di non riuscire ad arrivare al trapianto.

L’attesa di Rita non è stata semplice, alternando giorni di apparente benessere ad altri di profonda sofferenza:

L’incognita per la disponibilità di un organo mi logorava e provava anche i miei familiari. Ero molto in ansia per le sofferenze dei miei cari, dei miei figli in particolare, e mi sentivo quasi in colpa nei loro confronti, costretti a preoccuparsi costantemente della salute della propria mamma. Li avrei voluti sereni e felici. Invece, li vedevo immersi nel mio dolore.

Dall’inserimento in lista trapianti, alla comunicazione che c’era un organo compatibile, nel 2011, trascorrono otto mesi.

Alla prima chiamata, l’emozione è stata fortissima. Sebbene l’idea di un ripensamento non mi abbia mai sfiorato, questo non vuol dire che non vivessi sentimenti contrastanti. Ricordo che dopo avere avvisato mio marito, che era al lavoro, ho fatto una doccia, sciogliendo in un pianto “liberatorio” il sollievo per una nuova opportunità di vita che si faceva sempre più concreta e, insieme, la tristezza per il pensiero di qualcuno che piangeva un proprio caro. Rammento la paura prima di entrare in sala operatoria, placata dalla completa fiducia nei medici e dalla consapevolezza di essere in buone mani.

L’intervento riesce bene, ma ecco un primo imprevisto: l’ecografia evidenzia un trombo nell’arteria epatica. Rita torna in sala operatoria per rimuoverlo e tutto sembra rientrare, finalmente, nella norma. Dopo pochi giorni di Terapia intensiva, viene trasferita in reparto per affrontare la riabilitazione e, dopo, dodici giorni, arrivano le dimissioni dall’ospedale.

Purtroppo, però, le difficoltà non sono finite:

Dopo poche settimane dal mio rientro a casa inizio ad avere la febbre. Eccomi di nuovo in ospedale. Non volevo crederci. I medici rilevano, a causa del trombo rimosso, compromettenti stenosi biliari. Vengo quindi sottoposta ad un altro intervento. Uno “shock settico” compromette seriamente la mia salute. La situazione si aggrava e, periodicamente, sono ricoverata per infezioni alle vie biliari da trattare per via endovenosa. Finché i medici prendono una decisione drastica: un nuovo inserimento in lista d’attesa per un altro trapianto di fegato, che affronto nel 2012, dopo due chiamate non andate a buon fine. Ora, a distanza di circa dodici anni dall’ultimo trapianto, desidero solo vivere serenamente insieme ai miei cari, godendo della gioia dei miei nipoti. Sento. Però, il dovere di aiutare chi, come me, deve affrontare il percorso per l’inserimento nella lista di attesa per un trapianto di fegato, portando la mia esperienza. Per questo, faccio parte del Direttivo dell’Associazione Nazionale Trapiantati di Fegato G. Gozzetti di Bologna.

Mi capita frequentemente, soprattutto la sera, quando vado a dormine, di pensare al mio donatore, ai suoi cari, e alla loro scelta di solidarietà che mia ha regalato una nuova possibilità di vita. Pregare per loro, mi regala serenità. Sento che anche questa è una forma di ringraziamento. Nei confronti del mio donatore, non provo sensi di colpa, perché so di non aver influito sulla sua sorte, ma avverto la responsabilità del suo dono e cerco di avere la massima cura di me e dell’organo che mi è stato donato.

E a tutti coloro che, nel mondo sanitario, si sono spesi per aiutarla, Rita dice:

Per i medici, gli infermieri che ho incontrato nel mio percorso di trapianto provo vera gratitudine e un affetto sincero. Sono professionisti meravigliosi che, oltre a essere molto competenti, sanno esprimere una grande umanità, qualità che aiuta un paziente forse più di ogni altra cura.